Nelle ultime due teche trovano posto, oltre all’hydria, all’oinochoe e alcuni skyphoi, la seconda delle anfore da trasporto recuperate dal carico del relitto. Quest’ultima preservava ancora, al suo interno, dei noccioli di oliva, i quali, in origine, erano conservate in salamoia, come dimostrano le analisi effettuate.
La nave alto arcaica, naufragata nel Canale d’Otranto, in base all’analisi del carico trasportato, che al momento sembrerebbe esclusivamente di produzione corinzia, potrebbe essere salpata dal porto di Corinto, denominato Lechaion, e dopo aver costeggiato le isole ionie si sarebbe diretta verso il Canale d’Otranto. Qui avrebbe risalito l’Adriatico costeggiando le coste illiriche e giunta all’altezza dell’attuale golfo di Salona, in Albania, dal quale la costa pugliese dista solo 70 km. In questo punto avrebbe tentato la traversata in mare aperto verso un insediamento sulla opposta riva. Al centro del Canale, a 22 miglia dalla costa, avrebbe concluso tragicamente la sua navigazione con il naufragio, forse a causa di una tempesta.
Quale doveva essere la sua destinazione? Dopo aver attraversato il mar Adriatico, nel tratto in cui le due sponde sono più vicine tra loro, possiamo presumere che avrebbe potuto proseguire il suo viaggio, con una navigazione costiera, verso una delle località dell’attuale costa pugliese, dove sono attestati materiali archeologici corinzi databili già prima del VII sec. a.C. L’imbarcazione navigando in direzione nord avrebbe potuto proseguire verso Brindisi o, in alternativa, procedendo verso sud, si sarebbe potuta dirigere verso Roca e poi Otranto.